FEBBRI PERIODICHE O RICORRENTI  DI NATURA GENETICA

Introduzione

Le malattie infiammatorie croniche, come tutte le affezioni autoimmuni, sono state ritenute per decenni di natura immunopatogenetica e quindi innescate da fattori ambientali per lo più di tipo infettivo in soggetti geneticamente predisposti. Questa generica predisposizione a sviluppare una determinata affezione è stata  riferita a più geni  candidati. Gli studi  di linkage disequilibrium con determinati alleli del sistema HLA, avviati negli anni 70 e quindi le loro interazioni con l’antigene putativo della malattia e con il T cell receptor (TCR), cardine per ogni risposta T mediata, hanno consentito ulteriori speculazioni sul rischio relativo di sviluppare una determinata  affezione. Sulla base di queste osservazioni è stato meglio definito il rapporto fra generica predisposizione individuale e fattori ambientali tipico delle affezioni infiammatorie croniche e   ha costituito una possibile chiave interpretativa per la comprensione della patogenesi di malattie  caratteristicamente poligeniche.

In questi ultimi anni, sono state individuate affezioni infiammatorie croniche di origine monogenica, quali alcune forme di febbre periodica: si tratta di un gruppo di affezioni fino ad un recente passato o ignorate o considerate, come la febbre famigliare mediterranea (FFM), di natura genericamente infiammatoria, di cui solo in questi ultimi anni è stata dimostrata la natura genetica a trasmissione mendeliana: fra di esse, vengono considerate la FFM (dovuta a mutazioni del gene della pirina), la neutropenia ciclica (per mutazioni del gene dell’elastasi  leucocitaria), la  sindrome da iper-IgD o Dutch fever (da mutazioni del gene della mevalonico-chinasi), l’Hibernian fever o TNF (tumor necrosis factor)-receptor –associated periodic fever TRAPS (da deficit del recettore p55 del TNF), la sindrome di Muckle Wells-orticaria da freddo (mutazione del gene CFAS1) . E’ comune opportuno rilevare che:

1.      i bambini affetti da queste forme presentano accessi febbrili acuti, spesso preceduti da brivido e accompagnati da sintomatologia muco-cutanea (afte, lesioni simil erpetiche al cavo orale) o gastrointestinale o articolare;

2.      nonostante la presenza degli accessi febbrili, il loro accrescimento staturo-ponderale è nei limiti della norma: questo dato è di fondamentale aiuto per differenziare queste forme da altre forme di febbre di natura indeterminata (FUO);

3.      l’accesso febbrile non è responsivo al trattamento antibiotico, ma talvolta alla monosomministrazione di antinfiammatori steroidei o non steroidei;

4.      l’amiloidosi generalizzata rappresenta la più importante complicanza a lungo termine

 

Febbre famigliare mediterranea

Si tratta di un’affezione caratterizzata da accessi febbrili associati a polisierosite. La FFM venne descritta per la prima volta nel 1908 da Janeway e Mosenthal in una bambina ebrea. A seguito di questa osservazione è emerso che la FFM ha una maggiore incidenza nelle popolazioni di origine ebraico-sefardita e mediterranea; questo dato ha una sua valenza clinica in quanto costituisce uno dei criteri diagnostici minori.  In particolare venne sottolineato che la febbre è accessuale, ma non sempre periodica, nel senso che i periodi di tempo intercritici possono variare considerevolmente. Unitamente all’accesso febbrile è presente sintomatologia dolorosa per lo più costituita da intensa addominalgia per peritonite asettica (95% dei casi), tale da orientare la diagnosi verso una condizione di addome acuto.

La presenza di un dolore puntorio toracico da pleurite mono o bilaterale è presente in una percentuale di pazienti variabile dal 15 al 60%. Può inoltre essere presente artrite a carico dell’articolazioni coxofemorali, del ginocchio e delle tibiotarsiche;  quest’ultima è caratteristicamente non cronica e non erosiva e sembra essere più comune nei pazienti di origine ebraica.  La sierosite può determinare, più frequentemente nel bambino che nell’adulto (15% dei casi circa) dolore intenso scrotale per flogosi della tonaca albuginea, tale da simulare una torsione testicolare; la pericardite infine è presente in meno del 1% dei pazienti.

Durante la fase acuta della FFM possono comparire lesioni simil-erisipeloidi , di colorito violaceo soprattutto a livello della articolazione tibio-tarsica e al dorso del piede, esacerbate dalla postura eretta o dalla deambulazione, con aspetto simil-cellulitico del tessuto sottocutaneo, che si risolvono in 2-3 giorni. Queste lesioni sono presenti nel 7-40% dei pazienti e hanno un importante valore diagnostico. La mialgia e l’estrema spossatezza che caratterizzano questi bambini durante l’attacco febbrile sono usualmente interpretati come sintomi di poliartrite nodosa; di fatto esistono evidenze secondo cui nei pazienti FFM la prevalenza di poliarterite nodosa e di altre sindromi vasculitiche sarebbe nettamente aumentata.

Recentemente sono stati indicati  criteri clinici utili per la diagnosi per la FFM.

 

Tab I Criteri clinici per la diagnosi di FFM

Criteri maggiori

1. Accessi febbrili ricorrenti + peritonite asettica, sinovite, pleurite

2. Amiloidosi di tipo AA, in assenza di fattori o malattie predisponesti

3. Buona risposta al trattamento con colchicina

Criteri minori

1. Episodi febbrili ricorrenti

2. Lesioni simil-erisipeloidi (regione tibiorasica, dorso del piede ++)

3. Documentata famigliarità per FFM

Diagnosi definitiva: presenza di 2 criteri maggiori o di 1 criterio maggiore e 2 minori. Diagnosi probabile: presenza di 1 criterio maggiore e 1 criterio minore

 

Considerando che l’età media d’esordio della FFM è pari ai 20-30 anni, si comprende facilmente come i bambini di età inferiore possano frequentemente presentare forme di FFM incomplete e cioè caratterizzate da 1 o 2 dei seguenti criteri: i) rialzo termico <38°C; ii) durata degli accessi febbrili più lunga o più corta di  quelli tipici e comunque non superiore a 7 giorno e non inferiore a 6 ore; iii) assenza di addominalgia durante l’attacco febbrile; iv dolorabilità addominale localizzata; v) artrite in sedi differenti dall’anca, dal ginocchio e dalla tibiotarsica.

La complicanza più temibile della FFM è l’amiloidosi generalizzata. Essa può esordire come proteinuria saltuaria fino a determinare una sindrome nefrosica con insufficienza renale acuta o cronica. L’interessamento extra-renale dell’amiloidosi riguarda l’intestino, la tiroide, le gonadi, ma usualmente è paucistintomatica.

Sebbene identificata come entità nosografia all’inizio del secolo scorso, solo nel 1997 è stato possibile stabilire che l’FFM è un’affezione geneticamente determinata, dovuta a mutazioni del gene MEFV, posto sul cromosoma 16p13.3, che codifica per una proteina di 781 aminoacidi detta pirica o marenostrina dagli autori francesi. La malattia viene trasmessa con ereditarietà autosomica recessiva: Le mutazioni note sono attualmente circa 30 e in gran parte localizzate sull’esone 10, che codifica la regione C terminale della proteina. Le mutazioni più comuni anche nella popolazione italiana sono la M694V e la V726A (tab II)

Tab II Principali siti di mutazione e mutazioni nella FFM

Esone

Mutazioni

2

E148Q, E167D, T267I

3

P369S

5

R408Q, F479L

10

M601I, M694del, M694V, V726A

 

La diagnosi genetica di FFM non è tuttavia esente da difficoltà in quanto solo il 50-60% dei pazienti risultano omozigoti per una determinata mutazione o sono eterozigoti composti. Il restante 40% di pazienti è portatore di mutazione allo stato eterozigote o non è affetto da mutazioni.

 

Neutropenia ciclica

Sebbene si tratti di un’affezione di pertinenza ematologia, essa deve essere considerata nella diagnostica differenziale delle febbri periodiche, oltre che delle malattie infiammatorie intestinali e della sindrome di Behçet di cui condivide alcuni aspetti.

Clinicamente si caratterizza per la presenza di afte al cavo orale e/o ai genitali, foruncolosi, flogosi delle prime vie respiratorie. Caratteristica è comunque la condizione di neutropenia documentata durante l’attacco febbrile, tipicamente periodico.

Recentemente sono state individuate numerose mutazioni del gene ELA2 che codifica l’elastasi leucocitaria. Questo enzima ha un ruolo fondamentale nel condizionare i tempi di maturazione delle cellule staminali midollari; esso inoltre ha come naturale inibitore l’α1antitripsina. Se questo processo viene alterato per anomalie della conformazione proteica si avvia il processo infiammatorio.

Il gene ELA2 mappa in sede 19p13.3 e viene trasmesso con  modalità autosomica dominante. E’ interessante notare che alcuni pazienti con neutropenia congenita condividono una mutazione del gene ELA2 propria dei pazienti con neutropenia ciclica.

 

Ipergammaglobulinemia D o febbre olandese

Si tratta di un’affezione di recente individuazione (1984) e caratterizzata da accessi febbrili periodici, preceduti da brivido e associati a cefalea, artro-mialgie, nausea, lesioni maculo-papulari, afte orali e/o genitali, dolori addominali e scariche poco formate durante l’accesso febbrile. Spesso questi pazienti presentano all’ecografia addominale un importante aumento di spessore dei linfonodi mesenterici e delle pareti intestinali con dedifferenziazione della loro struttura.

La forma ha esordio nei primi anni di vita e spesso viene misconosciuta in quanto confusa con gli episodi intercorrenti di natura infettiva propri dei primi anni di vita.

La definizione della malattia come sindrome da iper-IgD è ambigua in quanto l’aumento delle IgD non è un segno patognomonico di malattia, in quanto un loro aumento è presente durante infezioni acute o processi neoplastici. Ciononostante fino ad un recente passato la diagnosi veniva posta in base al dato clinico unitamente agli elevati valori di IgD e IgA.

Solo nel 1999 è stata documentata la natura genetica dell’affezione in quanto sono state individuate tre mutazioni a carico del gene che codifica la mevalonato-kinasi (MVK). Il gene, localizzato sul cromosoma 12q24, è costituito da 11 esoni e sintetizza una proteina ad attività enzimatica indispensabile per la sintesi degli isoprenoidi e del colesterolo. La gran parte dei pazienti sembra essere eterozigote per la mutazione missense G → A al nucleotide 1129 che porta alla sostituzione di un residuo valina con un residuo isoleucina in posizione 377 (V377I). Altre mutazioni note sono la H20P e la I268T.

I pazienti sono usualmente eterozigoti composti per il gene della MVK; durante l’attacco febbrile i pazienti eliminano una minima quantità di acido mevalonico nelle urine; questo metabolica è instabile in quanto tende a trasformarsi nel lattone corrispondente.

E’ interessante ricordare che mutazioni dello stesso gene determinano la mevalonatoaciduria. Si tratta di una rara malattia  degenerativa che determina ritardo mentale importante, atassia, cataratta, miopatia. I pazienti affetti da tale forma presentano accessi febbrili importanti, non accompagnati da aumento delle IgD.

 

TRAPS o TNFR1 associated periodic syndromes o Hibernian fever

Con questo termine viene indicata una forma di febbre ricorrente, non sempre periodica dovuta a varie mutazioni del  gene che sintetizza il recettore p55 del tumor necrosis factor, citochina proinfiammatoria.

L’affezione si caratterizza per la presenza di lesioni cutanee a tipo erisipela, per la presenza di edema periorbitale e per l’importante mialgia che accompagnano l’attacco febbrile. La  forma viene trasmessa con modalità autosomico recessive.

Il recettore p55 del TNF viene sintetizzato da un gene in posizione 12p13. Studi sierologici hanno documentato bassi livelli sierici del TNFp55. Studi genetici hanno riportato come più frequente la transversione G→T che determina la sostituzione di un residuo fenilalanina con un residuo cisteina (C52F). Le cellule con la mutazione C52F con permettono il clivaggio del recettore come avviene abitualmente; pertanto è ipotizzabile che la sintomatologia infiammatoria di tale condizione dipenda dalla mancata down-regolazione del recettore TNFp55.

A tuttoggi non sono note alterazioni genetiche dell’altro recettore solubile (p75) del TNF. Infine è interessante notare come questo tipo di febbre rappresenti il primo difetto genetico causa di malattia nell’ambito delle citochine proinfiammatorie.

 

Sindrome di Muckle-Wells/orticaria da freddo.

Recenti evidenze hanno dimostrato che queste  due affezioni, da tempo note clinicamente, condividono una comune natura genetica.

La sindrome di Muckle Wells (sMW) è un’affezione clinicamente caratterizzata da episodi febbrili scatenati dall’esposizione al freddo, artralgia o artrite, rash orticarioide, addominalgia, congiuntivite. La malattia è cronica e si associa a una grave forma di amiloidosi renale e a sordità neurosensoriale:   L’orticaria da freddo si caratterizza clinicamente per la comparsa di accessi febbrili indotti dall’esposizione al freddo, rash orticarioide, congiuntivite;  questa forma non si associa né ad amiloidosi, né a sordità. Un utile test diagnostico consiste nell’appoggiare sulla cute del paziente un cubetto di ghiaccio e nel constatare la comparsa di una lesioni orticarioide in quella sede.

Le forme ad ereditarietà autosomica dominante, sono determinate da differenti mutazioni del  gene CIAS1 (cold-induced autoinflammatory syndrome 1), localizzato in sede 1q44. Questo gene sintetizza una proteina detta criopirina; il segmento N terminale di questa proteina è nell’uomo e in altri vertebrati condiviso da altre proteine coinvolte nel meccanismo dell’apoptosi.

 

Come schematicamente indicato, questi ultimi anni hanno portato alla definizione di un interessantissimo capitolo della clinica pediatrica: quello di malattie infiammatorie, tipicamente febbrili, ma spesso associate ad altri segni o sintomi, di natura genetica e a trasmissione monogenica. E’ probabile che, oltre alle forme fino ad oggi individuate,  esistano altre sindromi periodiche secondarie a mutazioni di geni correlati ai meccanismi dell’infiammazione. A titolo esemplificativo, va ricordata un’affezione detta PFAPA (Periodic Fever, Aphthous stomatitis, Pharyngitis, Adenitis), caratterizzata da accessi febbrili associati a sintomatologia muco-cutanea del cavo orale e ad un’importante tumefazione dei linfonodi laterocervicali, tale da modificare la fisionomia del paziente; di tale entità clinica non si conosce la natura genetica. 

L’individuazione e la caratterizzazione di  queste forme rappresenta un argomento di estrema attualità in quanto è la base per:

·        il trattamento:  si utilizza generalmente la monosomministrazione di steroide o di antinfiammatorio non steroideo (FANS); solo nel caso della FFM si rende indispensabile il trattamento con colchicina.

·        la prognosi: si tratta di forme a prognosi estremamente variabile; alcune si risolvono spontaneamente nei primi anni di vita, altre determinano complicanze gravi (amiloidosi, sordità neurosensoriale etc)

Particolarmente complesso è il riconoscimento di tutte le forme di febbre periodica o ricorrente. Esse molto spesso non si differenziano dai comuni fatti intercorrenti febbrili dell’età pediatrica:  tuttavia sono utili strumento diagnostici: i) la ricostruzione dell’albero genealogico facendo particolare riferimento alla consanguineità dei genitori o al grado di endogamia della popolazione considerata;  ii) la valutazione dell’andamento della febbre e dei sintomi che si possono associare;  iii) la presenza di sintomi relativamente peculiari per queste forme (ad es rash erisipeloide nella FFM), iv) il normale accrescimento staturo-ponderale e lo stato di buona salute di questi pazienti nei periodi intercritici.  Nella tab III sono riportate le caratteristiche patogenetiche e nella tab IV sono sintetizzati i principali sintomi di accompagnamento delle varie forme.  La diagnosi definitiva richiede una stretta cooperazione fra pediatra-reumatologo, genetista, esperti in malattie metaboliche e immunologo, quale è possibile solo presso grandi Istituzioni pediatriche multispecialistiche.

Come prima accennato, non esistono criteri univoci relativamente al trattamento delle forme di febbre periodica finora discusse, fatta eccezione per la FFM. L’impiego della colchicina nel suo trattamento (1 mg/die) ha drasticamente ridotto la comparsa di amiloidosi, che, in era pre-colchicina era presente nel 60% dei pazienti prima dei 40 anni; per contro la colchicina è scarsamente efficace nel ridurre l’attacco febbrile.

L’utilizzo di steroide o di FANS in monosomministrazione durante l’attacco febbrile è variamente efficace e non esistono studi controllati in questo ambito.    

In conclusione, il capitolo delle febbri ereditarie rappresenta una vera e propria sfida per il pediatra reumatologo. Di fatto, l’identificazione di alcune forme è la premessa per avviare studi intesi a stabilirne la patogenesi e le più efficaci strategie di trattamento, oltrecchè rappresentare lo stimolo per l’identificazione di altre forme, a tuttoggi non note.